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Unite per guarire le ferite delle guerre

Si è concluso a Montagnaga, in Trentino, l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, fondato da Lia Beltrami per riunire donne di diverse fedi con l’obiettivo di rompere i muri del pregiudizio e dell’odio trovando nuovi modi di costruire il dialogo nella vita quotidiana in zone di conflitto

Ha proposto diversi laboratori sul tema della pace, una preghiera interreligiosa e una “Cucina di pace” l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, assieme ad altre realtà, a Montagnaga, in provincia di Trento. Una quarantina di persone di diverse generazioni si sono ritrovate, da venerdì 30 agosto, per tre giorni di convivenza, “per riflettere in profondità sul senso e il significato della pace”, interrogandosi su “Quale pace in un mondo in guerra?”. Women of Faith for Peace, movimento nato 15 anni fa a Gerusalemme per diffondere un’esperienza straordinaria di pace vissuta concretamente, per rompere i muri del pregiudizio e per trovare nuovi modi di costruire un vero dialogo nella vita quotidiana, in zone di conflitto così come in Paesi che vivono situazioni di tensione e in ogni tessuto comunitario, ha coinvolto in questa iniziativa, con il supporto di Fondazione Caritro, l’associazione Shemà, Emotions to Generate Change, Lead Integrity.

La fondatrice di Women of Faith for Peace è Lia Beltrami.

Lia Beltrami, che contributo specifico possono dare le donne di fede per promuovere la pace?

Le donne che vivono una dimensione di fede possono dare molto nel percorso di riconciliazione. Un popolo spaccato, due popoli l’uno contro l’altro, generano delle ferite incommensurabili che solo tanta tenacia e solo un approccio femminile creativo possono aiutare in un percorso di guarigione. Quindi, le donne devono essere consapevoli e andare a fondo nella loro direzione di fede e anche in questo percorso di accoglienza e abbraccio che guarisce. In particolare, nel mondo di oggi dove i conflitti sembrano così forti e un po’ si perde la speranza e le persone che sono impegnate nel cammino di pace perdono un po’ anche l’entusiasmo, allora è questo il momento che con Donne di Fede per la Pace, come persone che ci credono, dobbiamo impegnarci più fortemente per riaccendere la fiamma che c’è negli operatori e nelle operatrici di pace, perché poi ognuno sa che cosa deve fare nel proprio ambiente. Però dobbiamo sentirci uniti e dobbiamo capire che proprio la luce che è dentro di noi è una luce che può splendere e non deve fermarsi in questa doppia guerra, perché è una guerra fisica ed è una guerra di parole, è una guerra di comunicazione, è una guerra che rende sordi e incapaci spesso di sentire e trovare delle vie per andare avanti.

Tra i promotori dell’evento c’è anche il Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest’anno ha deciso di conferire il Premio Pellegrino di Pace – assegnato da trent’anni – a Women of Faith for Peace. Il presidente Caterina Costa, ha illustrato i contenuti sviluppatisi in questi giorni.

Caterina Costa, confrontarsi sulla pace in un momento in cui preoccupano diversi focolai di guerra, quali i vostri obiettivi?

Ci stiamo interrogando su questo aspetto e ognuna di noi ha esposto le proprie considerazioni sugli elementi che caratterizzano la pace. Riconosciamo che non ci sono soluzioni chiare e definite per ogni situazione. Ciò che unisce in questi incontri è la volontà innanzitutto della condivisione e dell’ascolto, mettersi proprio in un ascolto empatico con chi queste situazioni di guerra le sta vivendo.

Quali gli elementi comuni emersi?

Innanzitutto, una visione di pace che è armonia. Quando si crea armonia in un contesto, in un Paese, in una comunità, questo sicuramente è ciò che definisce, per la maggior parte di noi, il senso della pace. Poi come si raggiunge questa armonia è sicuramente qualcosa di più complicato, ma quello che è emerso, da parte di tutti, è la ricerca della giustizia. Il fatto di essere in grado di condividere e di ascoltare, mettersi in ascolto dell’altro, sospendendo il giudizio, cercando di superare anche il pregiudizio.

Quale contributo possono offrire oggi le donne per la pace nel mondo?

Le donne possono fare tanto. Purtroppo, a volte, la donna rimane un po’ ai margini dei luoghi in cui poi si decidono effettivamente le cose. Ma io, anche per la mia esperienza, soprattutto in Africa, posso dire che la donna, anche quando non ha un ruolo di potere è il motore del cambiamento. Sin dalle piccole cose, dalle piccole azioni, è, veramente, strumento che può apportare un vero cambiamento, a partire dalle piccole comunità sino ai grandi luoghi di potere. Ci si augura che il ruolo femminile, all’interno di questi contesti, possa sempre crescere, sostenendo appunto le donne. Il contributo che si può dare è proprio sostenerle soprattutto in quei luoghi in cui quel diritto di autoaffermazione viene negato, rendendolo, poi, anche sempre visibile, parlandone, non lasciando che alcuni contesti, alcune situazioni, cadano nell’oblio. Sicuramente la sensibilizzazione è uno strumento importante per fare in modo che certe situazioni non vengano dimenticate.

Da questo incontro come ripartire?

Sicuramente con una più forte determinazione. Questi momenti di condivisione, di ascolto, lo stare insieme, il condividere i pensieri, le paure, i sogni, anche progetti per il futuro, sono una spinta. Questa è la grande importanza, la grande forza di questi eventi. Ritengo, poi, che ognuna di noi, che ogni donna impegnata all’interno del proprio contesto, anche lavorativo, da qui può ripartire lavorando con una determinazione sicuramente più forte per cercare di portare quei cambiamenti che sono fondamentali.

Lei è presidente del Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest’anno conferisce il Premio Pellegrino di Pace a Women of Faith for Peace, perché?

Perché, innanzitutto, realizzare questi incontri, mettere insieme donne che appartengono a contesti diversi, è importante. Questo è un continuo lavoro di ricerca del dialogo, che poi non rimane un dialogo fine in sé stesso, ma si concretizza, poi, in azioni di cambiamento, di giustizia, nella comunità di riferimento. Quindi abbiamo ritenuto che questa attività fosse assolutamente meritevole del riconoscimento Pellegrino di Pace.

di Tiziana Campisi – Vatican News

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