Commento al Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23
Dopo la lunga parentesi estiva accompagnata dal discorso sul pane di vita del Vangelo di Giovanni, riprendiamo la lettura delle pagine di Marco. Dopo la lunga disputa nella sinagoga di Cafarnao che ci ha accompagnato in questa estate, troviamo oggi un’altra discussione, un altro litigio infinito, in cui i suoi discepoli vengono accusati di non rispettare la tradizione.
Questo testo è provvidenziale ed è bello; sembra che la parola di Dio ci accompagni in questo tempo di oggi così ricco di contraddizioni. Gesù vive in una continua contrapposizione tra quello che lui propone e quello che gli viene rinfacciato. Alzi la mano chi mai è entrato in una parrocchia e non abbia sentito questa frase: “Qui si è sempre fatto così!”. Spostare gli orari delle messe? Fare qualcosa di diverso? Ma no! Qui si è sempre fatto così!
Gesù smonta questo atteggiamento dicendo una cosa molto semplice: egli ci dice che il problema lo abbiamo creato noi perché quello che noi spacciamo per tradizione, quello che noi spacciamo per divino, magari è un’abitudine, anche se una buona abitudine, ma è una tradizione degli uomini. Io sfido chiunque a leggere la Bibbia e vi assicuro che non troverete mai un passo che vi dice: “Fai la messa a quest’ora, oppure fai la catechesi dalla quarta elementare in poi, oppure fai venti invece di dieci incontri alla preparazione del matrimonio!”.
Questa è pastorale, non è legge divina, è un mettersi d’accordo e prendere un’abitudine, non è legge di Dio. Purtroppo facciamo diventare cose assolute cose che assolute non sono e facciamo diventare grandi cose veramente molto piccine. E Gesù a questo gioco non ci sta. La tradizione è una cosa bellissima; il termine tradizione viene dal latino “tradere” che significa “consegnare”. Quello che io vi do lo ho ricevuto, questa è la tradizione; ho ricevuto ciò che vi consegno e a sua volta chi me lo ha consegnato lo aveva ricevuto da qualcun altro. Questa catena apostolica in cui abbiamo ricevuto il messaggio di Gesù è viva non morta. Gesù aveva detto tutto e forse noi facciamo fatica a capire ancora tutto.
Ci vuole del tempo ed è quello che stiamo cercando di fare, custodire il messaggio straordinario della fede ma senza ingessarlo, perché esso si incarna, fiorisce nel tempo con i linguaggi, nello stile, nel modo come viviamo. Altra cosa è il tradizionalismo che è fatto di apparenza, in cui si cerca di custodire il fuori, l’apparenza, custodendo le cose come si sono sempre fatte, affinché possa riempire il dentro. Stiamo attenti allora a custodire la vera tradizione e a non confonderla con quella degli uomini; stiamo attenti a non fare grandi campagne perché non è cosi. Il vangelo riprende con un invito perentorio di Gesù: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo».
Le parole di Gesù nel vangelo di oggi vanno esattamente contro la nostra mentalità comune. Infatti tutti siamo convinti che sono le cose che ci circondano a infettare o nutrire la nostra vita. Per questo ci teniamo lontani dal dolore degli altri, dalle esperienze di morte, dai limiti della vita, da tutto ciò che ci ricorda quanto siamo piccoli in questo universo così grande. Tutti molto spesso pensiamo che il male che dobbiamo combattere è quello fuori di noi, attorno a noi. Ma pochi si accorgono che tutti abbiamo dentro un cavallo di Troia e che è il nostro cuore. Molto spesso è lì la radice vera del male che ci affligge e che non riusciamo a sconfiggere. È lui il vero faraone da cui dobbiamo scappare. È lui il vero Egitto che ha bisogno di essere evaso. È lui l’otre vecchio che deve farsi nuovo per accogliere il vino nuovo: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo». Ma si sa che è più facile cambiare il mondo e gli altri invece di sé stessi. E preferiamo vivere in una società che ci fa lavare e disinfettare continuamente le mani per paura dei batteri. Che ci fa sterilizzare ogni cosa temendo che ci faccia ammalare. Ci fa sistematicamente cercare cose nuove e buttare quelle vecchie, ma solo perché pensiamo che basta avere la vita biologica salva per dire anche che l’abbiamo fatta franca. Rischiamo di morire sani e sterilizzati ma senza aver mai conosciuto la gioia. Perché la gioia nasce dall’igiene del cuore e non da due semplici mani pulite. Quelle vanno bene per buona educazione; il cuore invece per avere la vita autenticamente salva.
E ricordatevi sempre: nella vita puoi cambiare solo te stesso! Buona domenica!
Correlati
Rischiamo di morire sani e sterilizzati!
Commento al Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23
Dopo la lunga parentesi estiva accompagnata dal discorso sul pane di vita del Vangelo di Giovanni, riprendiamo la lettura delle pagine di Marco. Dopo la lunga disputa nella sinagoga di Cafarnao che ci ha accompagnato in questa estate, troviamo oggi un’altra discussione, un altro litigio infinito, in cui i suoi discepoli vengono accusati di non rispettare la tradizione.
Questo testo è provvidenziale ed è bello; sembra che la parola di Dio ci accompagni in questo tempo di oggi così ricco di contraddizioni. Gesù vive in una continua contrapposizione tra quello che lui propone e quello che gli viene rinfacciato. Alzi la mano chi mai è entrato in una parrocchia e non abbia sentito questa frase: “Qui si è sempre fatto così!”. Spostare gli orari delle messe? Fare qualcosa di diverso? Ma no! Qui si è sempre fatto così!
Gesù smonta questo atteggiamento dicendo una cosa molto semplice: egli ci dice che il problema lo abbiamo creato noi perché quello che noi spacciamo per tradizione, quello che noi spacciamo per divino, magari è un’abitudine, anche se una buona abitudine, ma è una tradizione degli uomini. Io sfido chiunque a leggere la Bibbia e vi assicuro che non troverete mai un passo che vi dice: “Fai la messa a quest’ora, oppure fai la catechesi dalla quarta elementare in poi, oppure fai venti invece di dieci incontri alla preparazione del matrimonio!”.
Questa è pastorale, non è legge divina, è un mettersi d’accordo e prendere un’abitudine, non è legge di Dio. Purtroppo facciamo diventare cose assolute cose che assolute non sono e facciamo diventare grandi cose veramente molto piccine. E Gesù a questo gioco non ci sta. La tradizione è una cosa bellissima; il termine tradizione viene dal latino “tradere” che significa “consegnare”. Quello che io vi do lo ho ricevuto, questa è la tradizione; ho ricevuto ciò che vi consegno e a sua volta chi me lo ha consegnato lo aveva ricevuto da qualcun altro. Questa catena apostolica in cui abbiamo ricevuto il messaggio di Gesù è viva non morta. Gesù aveva detto tutto e forse noi facciamo fatica a capire ancora tutto.
Ci vuole del tempo ed è quello che stiamo cercando di fare, custodire il messaggio straordinario della fede ma senza ingessarlo, perché esso si incarna, fiorisce nel tempo con i linguaggi, nello stile, nel modo come viviamo. Altra cosa è il tradizionalismo che è fatto di apparenza, in cui si cerca di custodire il fuori, l’apparenza, custodendo le cose come si sono sempre fatte, affinché possa riempire il dentro. Stiamo attenti allora a custodire la vera tradizione e a non confonderla con quella degli uomini; stiamo attenti a non fare grandi campagne perché non è cosi. Il vangelo riprende con un invito perentorio di Gesù: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo».
Le parole di Gesù nel vangelo di oggi vanno esattamente contro la nostra mentalità comune. Infatti tutti siamo convinti che sono le cose che ci circondano a infettare o nutrire la nostra vita. Per questo ci teniamo lontani dal dolore degli altri, dalle esperienze di morte, dai limiti della vita, da tutto ciò che ci ricorda quanto siamo piccoli in questo universo così grande. Tutti molto spesso pensiamo che il male che dobbiamo combattere è quello fuori di noi, attorno a noi. Ma pochi si accorgono che tutti abbiamo dentro un cavallo di Troia e che è il nostro cuore. Molto spesso è lì la radice vera del male che ci affligge e che non riusciamo a sconfiggere. È lui il vero faraone da cui dobbiamo scappare. È lui il vero Egitto che ha bisogno di essere evaso. È lui l’otre vecchio che deve farsi nuovo per accogliere il vino nuovo: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo». Ma si sa che è più facile cambiare il mondo e gli altri invece di sé stessi. E preferiamo vivere in una società che ci fa lavare e disinfettare continuamente le mani per paura dei batteri. Che ci fa sterilizzare ogni cosa temendo che ci faccia ammalare. Ci fa sistematicamente cercare cose nuove e buttare quelle vecchie, ma solo perché pensiamo che basta avere la vita biologica salva per dire anche che l’abbiamo fatta franca. Rischiamo di morire sani e sterilizzati ma senza aver mai conosciuto la gioia. Perché la gioia nasce dall’igiene del cuore e non da due semplici mani pulite. Quelle vanno bene per buona educazione; il cuore invece per avere la vita autenticamente salva.
E ricordatevi sempre: nella vita puoi cambiare solo te stesso! Buona domenica!
Correlati
Condividi su:
Don Cristian Solmonese
Seguici su:
Articoli recenti
Credere sperando
La speranza è Dio, non è solo un sentimento
L’insegnamento della religione cattolica
Da Roma a Gerusalemme, per rafforzare la speranza
Categories
Articoli correlati
Credere sperando
Torna puntuale nella seconda metà di gennaio (mese della pace) la Settimana di preghiere per l’Unità dei cristiani. Dal 18 al 25 in tutto il mondo i credenti in Cristo
La speranza è Dio, non è solo un sentimento
L’augurio del cardinale vicario Reina all’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 dell’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater Un augurio all’Ecclesia Mater, “che è un istituto al quale teniamo molto”, affinché “possa
L’insegnamento della religione cattolica
Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2025/26 Cari studenti e cari genitori, è vicino il momento in
Da Roma a Gerusalemme, per rafforzare la speranza
Si è aperto il 29 dicembre a Nazareth, con una messa celebrata da tutti gli Ordinari cattolici di Terra Santa, il Giubileo della Speranza. Anche in Terra Santa i pellegrini