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Quel sì che dà senso alla vita

Un sì ha cambiato il mondo, e Franco Nembrini, già docente e autore di importanti libri e commenti su Dante, affronta questo punto di snodo attraverso l’arte, il “suo” Dante e altri spunti iconografici e culturali. Nembrini guida la nostra attenzione, come pochi altri hanno fatto, sul “nascosto” Giuseppe. Lo fa nel suo libro intitolato proprio “Sì”, partendo da un importante affresco nella chiesa di sant’Andrea a Spello, attribuito a Dono Doni, un artista umbro operativo soprattutto a metà Cinquecento: l’opera rappresenta, per esser succinti, un inusuale abbraccio tra Giuseppe e Maria: sembra quasi che il falegname sostenga una Vergine che gli si affida totalmente. Un’opera di una grande tenerezza, in grado di travalicare le tecniche e gli stili epocali, e di rappresentare un incontro raro tra simbolismo, realismo e naturalismo, maniera e sguardo oltre.

Quell’oltre rimanda, scrive Nembrini, indietro nel tempo, a più di due secoli prima, quando un altro uomo in esilio, come accadrà a Maria e Giuseppe, coronerà la sua Opera con una invocazione alla Vergine che è una delle più belle pagine della letteratura. Dante, quindi, oltre Doni, ma anche un’altra affascinante opera figurativa, stavolta nella modernità, presso la Sagrada Familia, un bassorilievo scolpito dallo stesso Gaudì: la Vergine tiene in braccio Gesù che guarda un uomo che sta morendo, consolato anche da una carezza di Maria: Giuseppe sembra defilato, come al solito, alla destra della scena, ma c’è un particolare molto importante, e fa bene Nembrini a farlo notare: la sua mano sinistra è sulla gamba del morente. Anche lui come la sposa accettata nonostante le malelingue e i rischi dell’emarginazione, sostenuta fisicamente come Doni ha dipinto cinquecento anni fa.

C’è una commovente coincidenza di sentimenti e di sensazioni, che affrontano la percezione dell’affetto e dell’amore ai nostri tempi, fondata sull’iper-estetismo, la passione forte che rifluisce in tempi brevi, il qui e l’ora, subito, che poi non si sa. La pazienza, l’aiuto, il soccorso, il tenersi reciprocamente tra le braccia nei momenti critici hanno lasciato il posto ad un cammino in cui, suggerisce l’autore appassionato di Dante, non è più Virgilio a guidarci, ma il Gatto e la Volpe.

La paternità di Giuseppe è quella vera, è il centro focale di questo libro: aldilà del principio di piacere, delle mitologie del tutto e subito, un padre ha scelto di rispettare l’altra e una vita in arrivo, contro tutto e tutti. In un tempo in cui in nome della modernità e della libera scelta madri e padri hanno abbandonato figli per vivere fino in fondo l’ebrezza epocale (una modernità stigmatizzata dalle storie dei due fratelli ritrovati e della madre perduta in Le particelle elementari di Houllebecq), un uomo accetta di lasciarsi alle spalle i suoi miti, e una donna afferma il suo sì oltre il perbenismo e le false morali.

Un libro da leggere soprattutto da chi rimprovera alla famiglia cristiana perbenismo e conformismo. In realtà l’impegno di tanti sposi a prendersi cura di vite senza più radici ci dice esattamente il contrario: invece di spendere soldi per un consumo coattivo, li mettono a disposizione di vite che, il vangelo ce lo insegna, non hanno padroni.  Franco Nembrini, , San Paolo, 124 pagine, 12 euro.

di Marco Testi

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