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Conoscere e prevenire i bisogni

La carità delle mani va preceduta dalla carità del cervello

Nella mia vita ho conosciuto quelli che, personalmente considero i padri fondatori della Caritas: Giovanni Nervo, Giuseppe Pasini, Elvio Damoli, Luigi di Liegro. Dai loro insegnamenti e dalla testimonianza di vita ho appreso che la carità delle mani deve essere preceduta dalla carità del cervello, cioè conoscere i bisogni del territorio e la possibilità di prevenirli. Carità e Caritas sono parole diverse: Carità è testimoniare l’amore di Dio verso ogni persona, come ha fatto il buon samaritano. La parabola ha un senso forte, perché i samaritani erano considerati eretici dai giudei e dai quali tenersi ben lontani. Questa parabola rappresenta il viaggio di ogni cristiano verso la liberazione dall’egoismo per mettere al centro la cura di ogni altro.

Il catechismo è indispensabile, ma non dà il diploma per essere veri cristiani. La carità scaturisce dall’Eucaristia, che rende presente “qui e ora” il sacrificio di Cristo per l’umanità. E la Messa domenicale deve far spezzare il pane di Cristo verso l’uomo. Il cardinale Carlo Maria Martini disse che «… il cristiano è colui che ama il prossimo perché va alla Messa domenicale». Diverso il significato di Caritas, così come inteso da San Paolo VI: l’obiettivo era ed è di essere sostegno alla formazione di una cultura della solidarietà e i suoi destinatari non sono i poveri, ma la comunità cristiana che aiuta i poveri. Le Caritas diocesane e le Caritas parrocchiali sono chiamate a diventare pane spezzato per gli altri. La Caritas deve favorire una preparazione pedagogica per far crescere i poveri e le comunità cristiane. Detto in sintesi: la Caritas mostra come fare perché tu lo faccia. Purtroppo, negli ultimi anni, è doveroso ammetterlo, il limite di non poche Caritas diocesane è di fare puro assistenzialismo, che non responsabilizza il povero e neppure lo spinge a uscire dalla sua situazione.

Ogni Caritas si inserisce nella pastorale con alcune caratteristiche proprie, elencate dal Vescovo: educare al Vangelo, agire facendo e facendo fare, stimolare atteggiamenti di carità, evangelizzare con le opere, perché la fede senza le opere si riduce a sentimentalismo. Mi pare che, su questa dicotomia, ci sia molta confusione: non vedo all’orizzonte figure quali quelle che ho elencato in precedenza; negli stessi centri d’ascolto Caritas prevalgono volontari senza alcuna preparazione specifica rispetto alla complessità dell’oggi che viviamo. Non si realizzano più la presa in carico e l’accompagnamento, anzi quando le situazioni sono difficili si tende ad indirizzare l’utenza verso soluzioni esterne rappresentate da patronati, Caf, sindacati.

Alle diagnosi devono necessariamente seguire le terapie, altrimenti il malato non progredisce, così come emerge anche nell’ultimo Rapporto nazionale su Povertà ed esclusione sociale, “L’anello debole”: nessuno merita di essere dimenticato. Mi si conceda un’ultima divagazione sul tema della povertà: in tempi di crisi dobbiamo risparmiare tutti, evitando soprattutto lo spreco alimentare. Si produce e noi finiamo per buttare via prodotti che potremmo consumare in tempo, imparando anche ad interpretare la dicitura “da consumarsi preferibilmente…”, come pure reinterpretare – alla guisa dei nostri nonni – come riciclare gli avanzi dei pasti. Torniamo, insomma, al buon senso smarrito della concretezza: dare valore a ciò che possediamo ci aiuta ad avere meno paura del futuro.

di Giancamillo Trani

collaborazione segni dei tempi

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