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Se si perde la grazia col peccato mortale si cessa di essere figli di Dio?

Il Catechismo al numero 1857 ricorda che è peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso.

La Tradizione della Chiesa chiama peccato mortale l’atto con il quale un uomo, con libertà e consapevolezza, rifiuta Dio, la sua legge, l’alleanza di amore che Dio gli propone, preferendo volgersi a sé stesso, a qualche realtà creata e finita, a qualcosa di contrario al volere divino. Il Catechismo al numero 1857 ricorda che è peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso. Materia grave: significa che l’atto è per sé stesso incompatibile con la carità e pertanto anche con le esigenze inevitabili delle virtù morali e teologali.

Piena consapevolezza o avvertenza dell’intelletto: vale a dire, sapere che l’azione che si compie è peccaminosa, ovvero contraria alla legge di Dio. Deliberato consenso della volontà: indica che si vuole apertamente un’azione, che si sa essere contraria alla legge di Dio. Le tre condizioni si devono verificare contemporaneamente. Se manca una delle tre, il peccato può essere veniale. Questo avviene, per esempio, quando la materia non è grave, anche se c’è piena avvertenza e perfetto consenso; oppure quando non c’è piena avvertenza o perfetto consenso, pur trattandosi di materia grave. Logicamente, se non c’è avvertenza né consenso, mancano i requisiti perché si possa parlare di azione peccaminosa, in quanto non sarebbe un atto propriamente umano.

Tuttavia, con il peccato mortale l’uomo perde la grazia ma non perde l’immagine di Dio e non cessa di essere suo figlio. Egli piuttosto perde la somiglianza. Il peccato mortale infatti ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. “Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna” (Catechismo, 1861). Nel perdere l’unione vitale con Cristo a causa del peccato mortale, si perde anche l’unione col suo Corpo mistico, la Chiesa. Si continua a far parte della Chiesa, ma come membro malato, privo di salute, che fa male a tutto il corpo.

Il peccato mortale è una cosa seria perché ci pone nella condizione, scelta liberamente, di totale assenza di comunione con Dio e questa condizione di assenza di relazione con Dio la Scrittura la chiama morte. Per questo Sant’Agostino dice che “il peccato è una maledizione” (Contra Faustum, 14,4), vale a dire un maleficio che uno fa a sé stesso, la cui soluzione è il pentimento e il perdono che possiamo sempre chiedere a Dio per riacquistare la sua amicizia.

Fonte: Paolo Morocutti – SIR

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