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I monasteri sono luoghi di grande cultura gastronomica: diamo quasi per scontato che quanto proviene dalle abbazie sia non solo buono ma anche genuino, naturale, di ottima qualità.

Ma come mangiano i monaci? E che cosa? Leggendo la Regola di San Benedetto scopriamo tante cose interessanti sulla loro tavola.

Una premessa: la Regola di San Benedetto è stata scritta 15 secoli fa ed è ancora alla base del monachesimo, ha attraversato i secoli ed è applicata ancora oggi con successo, nei cinque continenti. È un capolavoro di saggezza, di equilibrio e di comprensione delle esigenze dell’uomo. Anche nel rapporto con il cibo, stabilisce norme di comportamento che sono applicabili, con grande vantaggio, anche ai laici, alle famiglie, a tutte le comunità.

Innanzitutto, i monaci mangiano alla stessa ora: “Nessuno si permetta di mangiare o di bere qualcosa prima dell’ora stabilita”. Anche questo aspetto contribuisce a costruire la comunità, e non è cosa da sottovalutare: quante famiglie trascurano questa regola, perdendo una grande occasione di unità e comunicazione. È importante mangiare allo stesso tavolo, gli stessi cibi, servendosi gli uni gli altri. Il divieto di mangiare fuori pasto, tra l’altro, è una buona regola non solo per favorire l’aspetto comunitario ma anche da un punto di vista della salute.

Ma torniamo al nostro refettorio, dove San Benedetto raccomanda il silenzio: “Nel refettorio regni un profondo silenzio, in modo che non si senta alcun bisbiglio o voce, all’infuori di quella del lettore”. Un monaco infatti recita passi della Bibbia, brani dei Padri della Chiesa, oppure la vita di un santo. Anche questo fa comunità: si ascolta insieme. E a chi magari direbbe: che noia! potrei far presente che oggi in molte famiglie si mangia nel silenzio guardando la televisione o consultando lo smartphone: c’è sicuramente più edificazione e più comunicazione in una comunità che mangia insieme ascoltando letture edificanti.

Quanto mangiano? Dalla Regola scopriamo che la mensa dei monaci non è per nulla povera: “Siano sufficienti due pietanze cotte; se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza. Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c’è un solo pasto, che quando c’è pranzo e cena. Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l’abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento” ma si aggiunge: “purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall’ingordigia, perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola”.

Decisamente un vitto abbondante: due portate calde, frutta e verdura e un chilo di pane! San Benedetto sa che la vita del monaco è impegnativa, comincia prima dell’alba con la preghiera notturna e poi fino al tramonto è tutto un susseguirsi di preghiera e lavoro. Bisogna tenere il proprio corpo nutrito a sufficienza, per sostenere questi ritmi molto faticosi. Non a caso è previsto un pasto più abbondante se il lavoro è stato più impegnativo del solito. Tutta la Regola di San Benedetto è permeata di buon senso pratico, senza eccessi, senza fanatismi, ma sempre alla ricerca del benessere spirituale e fisico dei monaci.

E il vino? “Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d’accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente. Perché “il vino fa apostatare i saggi”. “

E una volta deciso che il vino può essere messo in tavola, quanto? “Tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa.”. Decisamente una buona quantità! Ma non si ferma qui: “Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l’ubriachezza.”

Ma per sgombrare il terreno da battute sulla quantità di vino bevuto dai monaci, aggiunge: “Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa”.

Dunque, niente eccessi, temperanza sia nel bere che nel mangiare, giusto apprezzamento verso chi si astiene dal vino per penitenza, ma nello stesso tempo nessuna criminalizzazione della tavola. La tradizione monastica è attenta all’astinenza e al digiuno, alla moderazione e alla povertà, ma non è ossessionata dal cibo. Il valore della relazione è importante, più importante della mortificazione individuale.

Quanto si può attingere dalla Regola di San Benedetto, anche nella nostra vita di laici!

Fonte: Susanna Manzin – Pane e Focolare

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