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Dalle famiglie delle vittime alla stazione di Bologna sono venuti anche gesti di umile e stupenda umanità.

C’è un filo che corre nella storia come un fiume carsico, appare e scompare sorprendendo i viandanti del giorno. Il 2 agosto 1980 un attentato alla stazione di Bologna strappava la vita a 85 persone tra le quali bambini e giovani, ne lasciava ferite 200. Anche quest’anno si farà memoria di quella strage, la morte di tanti innocenti si leverà ancora una volta come domanda che si inanella nella catena di dolore e di disperazione che imprigiona il mondo.

Dalle famiglie delle vittime alla stazione di Bologna sono venuti anche gesti di umile e stupenda umanità come, ad esempio, l’assegnazione di una borsa di studio in memoria di una vittima, Sergio Secci che aveva 24 anni.

Nei giorni scorsi un’insegnante, parente di questa famiglia, ha voluto mettere a disposizione mille euro in borse di studio per i ragazzi dell’istituto “Scarpellini” di Foligno. Si chiama Patrizia Caprelli ed è andata in pensione a 69 anni con 800 euro mensili: “Mi fa piacere lasciare qualcosa alle future generazioni avendo la possibilità di farlo con un gesto alla fine piccolo”.

Nei piccoli gesti di attenzione agli altri si esprimono sempre ideali e valori che consentono di non arrendersi alle sentenze frettolose, alla reciproca sfiducia, al pessimismo.

Quello della professoressa di Foligno si inserisce, con solare spontaneità, nel dibattito in corso da alcune settimane su un quotidiano nazionale sul dialogo tra le generazioni evidenziando in particolare il rischio di contrapporre i boomers ai millennial come oggi si definiscono i 50/60enni e i 30/40enni.

Il nodo da sciogliere è il rapporto educativo tra padri e figli che è saltato nel momento in cui al venir meno dell’autoritarismo non ha fatto seguito la nascita di un’autorevolezza fondata sulla credibilità che chiama in campo sia i padri che i figli.

Annota la scrittrice Paola Mastrocola: “Non tutti i boomer hanno abdicato al ruolo educativo. Così come non tutti tra i millenial sono sfaticati e frustrati e passano le notti a bere e a sballarsi. Alcuni trenta quarantenni lavorano dieci ore al giorno e molti hanno già raggiunto posizioni di potere”.

Tuttavia qualcosa si è spezzato, occorre riconoscere gli errori per non ripeterli, per andare oltre. È evidente che la crisi del dialogo tra generazioni ha rilevanti riflessi sulla visione della società, sull’idea di futuro, perfino sul senso della politica. Oggi questo dialogo è sui grandi temi, sulle sfide che tengono il territorio come il mondo con il fiato sospeso. Il piccolo gesto della professoressa di Foligno si pone in questo orizzonte.

Fonte: Paolo Bustaffa – Sir

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