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Annunciare la fede è una “missione fisica”

L’assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione riflette sull’importanza di un messaggio cristiano non solo di parole ma sorretto da una presenza fisica: ecco perché un Papa viaggia e non si limita semplicemente a parlare da Roma, ciò che dice diventa più vero e credibile.

Ciò che Gesù ha inaugurato con la sua vita è la necessità del corpo accanto alla parola. Per ogni cristiano Gesù è il Verbo che si è fatto carne. Ciò sta a significare che la fede cristiana conosce bene la differenza che esiste tra il dire delle cose e riempirle invece della propria presenza fisica. L’evento pasquale, ad esempio, non è solo una semplice notizia, ma il susseguirsi di una sconvolgente esperienza con il corpo stesso del Risorto (Lc 24, 39). Se la resurrezione non fosse un fatto ma solo un punto di vista sulla vita, tutto il cristianesimo crollerebbe. Invece tutto il credo cristiano potremmo dire che è costruito sul corpo di una Parola/Presenza.

Persino un bambino conosce bene la differenza tra la semplice parola e il corpo. Egli non si accontenta di sentirsi rivolgere parole d’affetto dalla propria madre, ha bisogno invece di toccarla, di sentire il proprio corpo stringersi nel suo abbraccio.

Ecco perché un Papa viaggia e non si limita semplicemente ad annunciare delle parole rimanendo a Roma. Egli sa che la propria presenza fisica davanti a coloro a cui parla rende il suo messaggio più vero, più concreto, più credibile. È la riscoperta di una pratica missionaria che da san Paolo VI in poi è tornata ad essere la “missione fisica” di Pietro, tornata preminente rispetto alla semplice missione giuridica che in quanto successore di Pietro esercita sulla Chiesa universale.

Questo è il motivo per cui un uomo anziano, con la sua attuale debolezza, è andato dall’altra parte del mondo offrendo il proprio corpo come il messaggio più credibile a un popolo ferito. In realtà non avrebbe bisogno nemmeno di parlare: i suoi occhi, i suoi gesti, la mansuetudine con cui si consegna alle lacrime, ai racconti, alle speranze, è più eloquente di ogni frase possibile. Basterebbe vedere le immagini di come quest’uomo anziano guarda, prega, si commuove, bacia, si lascia abbracciare e persino ornare con i costumi locali per capire che la sua presenza è già il messaggio.

Papa Francesco è lì alla maniera di ciò che ci ha insegnato il Vangelo: chiamando le cose per nome ed esercitando la prossimità, esattamente come Gesù che chiamava i demòni per nome (Mc 5, 9) e si faceva prossimo a chiunque era nella prova e nel dolore (At 10, 38). Ogni altra semplificazione del significato di questo viaggio tradirebbe qualcosa di più grande e di più complesso. Ecco perché quest’uomo anziano dall’altra parte del mondo rimane una provocazione per tutti, specie in un mondo come il nostro che si identifica con le ostentazioni di forza e che crede che la credibilità consista nel mistificare l’evidenza. Debolezza e Verità sono invece la vera forza di Papa Francesco.

Fonte: Luigi Maria Epicoco – L’Osservatore Romano

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