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“L’invece” di Dio!

Commento al Vangelo Lc 10,25-37

Nel cuore dell’estate la liturgia ci propone un Vangelo straordinario che va proprio bene in questo percorso per riscoprire il vero volto di Dio. La Liturgia ci propone il vangelo del buon samaritano che noi abbiamo ribattezzato così, ma non sappiamo se quel samaritano fosse un delinquente che si lascia coinvolgere da quell’uomo.

Nel cuore del Vangelo di Luca, Gesù esprime con forza quella che è la sua convinzione su Dio. La parabola la conosciamo un po’ tutti, però vale la pena di riprenderla per cogliere delle sfumature molto belle. Anzitutto nasce, lo sappiamo, in un momento polemico, il momento in cui qualcuno contesta a Gesù la sua ignoranza perché Gesù, lo sappiamo, non ha studiato. Allora un dottore della legge cioè uno di quelli che ha fatto la teologia, che la conosce bene, cerca di mettere in difficoltà Gesù; in realtà il suo non è un intento di conoscenza, ma Luca ci dice che vuole mettere in difficoltà Gesù con questa domanda: “Qual è il primo fra i comandamenti?”.

Ormai lo sapete ma vale la pena di ricordarlo, al tempo di Gesù i famosi 10 comandamenti, le parole così come dicono i nostri fratelli ebrei, erano diventate 613 perché alle leggi di Mosè furono aggiunte le prescrizioni della legge orale, tradizioni aggiunte per cercare di regolamentare quello che era il comportamento del fedele, del pio israelita. Il problema però che alla fine era diventato una specie di gabbia, di prescrizioni che andavano addirittura dal numero dei passi da fare nel giorno di Shabbat a quali alimenti sono leciti. Segue tutta una serie di prescrizioni che alla fine diventavano davvero una specie di reticolo che uccideva l’anima, che spegneva l’entusiasmo, che bloccava quello che era il cuore dell’incontro fra Dio e Israele.

Ora la domanda che viene posta non è una domanda sciocca anzi era una delle tipiche domande che vengono fatte ai rabbini da parte degli alunni e neanche la risposta di Gesù è così tanto originale: troviamo qualcosa di molto simile nella risposta del suo contemporaneo più famoso, rabbì Hillel anche rabbì Shammai dove era l’idea che la legge si riassumesse sostanzialmente nella Shema Israel cioè ama Dio con tutte le forze, il meglio di quello che puoi fare e amare il prossimo come te stesso. Il comandamento inizia con il verbo amare, indicato al futuro con “amerai”. Il rapporto con Dio ha a che fare con l’amore, il rapporto col comandamento ha a che fare con l’amore; è inutile che ci giriamo intorno perché il comportamento umano, quello che Dio ci chiede di fare, è amare; il problema semmai è che noi fatichiamo, almeno io fatico, a capire in che cosa consiste veramente l’amore perché l’amore a volte è solo una facciata, dietro c’è un egoismo, una bramosia, un possesso.

Ecco allora che la seconda parte di questo comandamento che abbiamo sentito esplicitato nella prima lettura è la concretizzazione di questo amore per Dio. Il Comandamento allora è il modo che hai per incarnare l’amore che hai, è la forma dell’amore. Non esiste un comandamento che non scaturisca da un amore profondo, perché, se non c’è amore, esso diventa insopportabile, insostenibile, diventa una legge. Una cosa è quando “devi” pagare una multa e un’altra cosa è quando una madre si “deve” alzare per allattare il figlio. La mamma risponde ad un comandamento profondo che è dentro di lei; l’amico che deve raggiunge l’amico che gli ha chiesto aiuto perché è scoraggiato, non si impone, ma è una cosa che realizza quell’affetto, quel sentimento che ha verso il suo amico.

A questo punto il dottore della legge un po’ imbarazzato perché pensava di aver messo in difficoltà Gesù, per giustificarsi, chiede chi è il mio prossimo, domanda birichina perché in questo contesto come dire molto rigido, molto articolato che guardava anche il dettaglio, capire chi fosse il nemico era qualcosa di importante e capire chi fosse il fratello, il prossimo, è altrettanto importante. Ora sembrava che vigessero due posizioni: quella estrema in cui si diceva che il prossimo è soltanto tuo fratello israelita che pratica la legge, quindi, vedete, erano veramente pochi; altri invece dicevano non soltanto ogni fratello israelita ma addirittura il pagano che serve la torah.

Ovviamente i non credenti erano completamente esclusi, non erano prossimi. Gesù allora racconta questo fatto di cronaca, questa parabola che tutti noi conosciamo. Gerico è a 27 chilometri che la separano dalle alture di Gerusalemme. Gerusalemme sta a 800 metri di altitudine nel deserto di Giuda; Gerico è la città più bassa del mondo, 200 metri sotto il livello del mare, quindi 1000 metri di dislivello in mezzo a questo deserto ancora oggi straordinariamente bello, fatto di rocce. Sembra ancora che esista una pista che era, come dire, il luogo ideale per degli assalti, per delle ruberie, per cogliere le persone impreparate. Il malcapitato sta scendendo e incappa nei briganti che lo derubano, lo picchiano, lo lasciano sanguinante mezzo morto in mezzo alla strada. Interessante perché non sappiamo nulla di questo e nulla sapremo fino alla fine; non sappiamo se quest’uomo era una persona onesta, se era un delinquente, se era una persona che vale la pena di salvare e neppure sappiamo le ragioni per cui ha affrontato quel pericoloso viaggio per arrivare fin lì. Entrano in scena tre personaggi; il primo personaggio è un sacerdote del tempio che presumiamo essere appena stato al tempio, l’altro è un levita che possiamo dire essere un sacrestano, un operatore pastorale, un catechista, un cantore.

Essi scendono, probabilmente, o così lascia intendere Gesù nella parabola, essi hanno avuto a che fare con la liturgia del tempio, cioè hanno fatto un’esperienza di preghiera. Ebbene quando arrivano davanti a quello mezzo sanguinante fanno finta di non vedere e tirano dritto. Ora io dopo tanti anni di commenti, di meditazione della parola voglio spezzare una lancia a favore di questi due disgraziati perché abbiamo dato loro addosso dicendo che essi tirano dritto, che sono i preti di oggi, ma vi dico che essi non erano autorizzati dalla legge a toccare e ad interessarsi di quell’uomo e di quel sangue, altrimenti avrebbero dovuto essere allontanati dal culto.

Diciamoci la verità, chi di noi si sarebbe avvicinato in piena notte ad un uomo dietro un cespuglio che rantolava? Al massimo avremmo chiamato il 118 o i carabinieri. Potresti essere davanti a un regolamento di conti così da rischiare di finire in una rissa. Quello che intendo dire è che l’atteggiamento del sacerdote del tempio e del levita è normale, è la norma. Gesù non sta dicendo che sbagliano, lo dice per poi fare il colpo di scena rispetto al terzo personaggio che invece è la chiave di interpretazione dell’intera parabola. Il terzo personaggio è un samaritano.

Il samaritano è uno che non ha alle spalle la stessa fede, la stessa appartenenza al popolo e la stessa religione, ma è il nemico per eccellenza, è il fratellastro. La Samaria era stata la prima a cadere nel 721 a. C. sotto Sargon e da lì si era mescolata ai siriani, agli assiri e così gli ebrei vedevano col fumo negli occhi questa popolazione che teneva il pentateuco ma non riconosceva la legge orale, che aveva costruito un tempio sul monte Garizim per scimmiottare quello di Gerusalemme. Essi proprio non si potevano vedere, cioè dire un Samaritano “invece”, era dire la persona più antipatica, quella che disprezzate con tutte le vostre forze. Gesù non ci tiene tanto a sottolineare la pavidità, la paura di questi due piuttosto l’eccezionalità del gesto del Samaritano: egli fa una cosa non naturale, non spontanea, non come fanno tutti. Avrebbe dovuto tirare dritto “invece” vede quest’uomo e ne ebbe compassione; avrebbe dovuto lasciar perdere “invece” si ferma e lo soccorre ed è questa la differenza cristiana.

Gesù non sta dicendo fate i bravi ragazzi, Gesù sta dicendo abbiate un atteggiamento controcorrente: mia suocera mi fa vedere i sorci verdi, io la manderei a quel paese, “invece”; il mio collega d’ufficio ha fatto di tutto per farmi le scarpe, dovrei vendicarmi, “invece”; in casa mia le cose non vanno, forse è meglio lasciar perdere, divorziare, “invece”; in parrocchia hanno cambiato parroco, quello che è arrivato è un disastro, “invece”. Quell’ “invece” io vorrei che ci restasse in questa domenica nel cuore. È quell’invece che contraddistingue il nostro essere cristiani; in questo invece cambia completamente la prospettiva. La parabola continua e sappiamo che cosa succede: si ferma, fa una specie di pronto soccorso con quello che ha, l’olio e il vino, lo medica, lo fa salire sul suo giumento, interrompe il suo viaggio, cerca un caravanserraglio dove depositare quest’uomo e dice all’albergatore: guarda adesso ti pago io perché lui dorme, non ha più nulla, io poi torno.

Non si chiede chi è, non si chiede cosa ha fatto, magari è stato menato perché ha rubato dei soldi, non chiede nulla, vede un uomo che soffre. Davanti alle sofferenze, un cristiano vede un uomo che soffre, non un profugo, non uno che viene a rubare il lavoro, non un delinquente, ma un uomo che soffre. Questa è la grande novità del cristianesimo.  La cosa bella non è che quest’uomo se lo porta in casa sua perché sa cosa significa, disturberebbe equilibri e rapporti familiari, ma fa una cosa straordinaria: lo porta in un luogo e se ne occupa, dice a qualcuno di occuparsene. Inoltre fa qualcosa di geniale: torna poi dopo per vedere com’è andata; quell’invece regge questa parabola e dice molto di noi e dice di Dio. Davvero la domanda che Gesù mi fa e che ci fa nel cuore di quest’estate è: secondo te chi di questi si è fatto prossimo? Chissà se questa parola riletta sotto l’ombrellone mi addolcisca, favorisca un sorriso in più, una gentilezza maggiore, chissà se questa parola avrà il potere di rompere questi egoismi che ci stanno soffocando, questa bramosia che sta riprendendo il controllo del mondo.

Ormai sembra che la logica del mondo abbia contagiato anche il nostro giudizio sugli altri; quanta durezza io vedo anche sulle labbra di cristiani, laici impegnati, difensori della fede e dei confini. Se viene a mancare la carità, se noi cristiani non siamo capaci ad amare ma chi è capace di amare? Se noi non siamo capaci di vivere quell’ “invece” chi è capace di farlo? Allora vi invito a mettere a fuoco quell’ “invece” e chiederti tu cosa vuoi fare. Sono contento che il Signore ogni tanto ci scuote un pochettino. Ricordiamoci sempre – come cita il Cardinale Ravasi in un bellissimo testo – che durante gli scavi di un caravanserraglio, proprio su quella strada, viene trovato una specie di poesia, di scritto, probabilmente di un pellegrino in cui diceva che se anche la vita ti ha bastonato, ti ha percosso e sei esangue, ricordati che se anche gli altri tirano dritto, c’è uno che si ferma, Cristo, è lui il buon samaritano. Buona domenica!

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