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Silenzio contro la guerra

Le immagini dei palazzi distrutti dai missili, delle colonne di fumo che si alzano dalle città e dai cosiddetti “obiettivi strategici” fanno certamente impressione e ci sbattono di fronte agli occhi scenari che non avremmo più voluto vedere, se non in qualche film d’azione e di guerra. Quando si distrugge per il gusto perverso di danneggiare, di mettere in ginocchio, di sottomettere, si compie un atto infame. Sempre. Ma le fotografie dei corpi a terra, di persone uccise con le mani legate, delle fosse comuni, dei corpi accatastati, quelle ci lasciano senza parole. Sembra inconcepibile che ancora oggi si possa morire per volere di qualcuno, per un sì o per un no, non importa il motivo.

Qui in gioco non ci sono l’analisi delle tattiche di guerra, le mosse e le contromosse come se si giocasse ad un diabolico risiko. Qui in ballo c’è la vita. E quelle immagini rimbalzate sui media ce lo dicono in modo inequivocabile. Quel corpo a terra, quella mano ormai senza vita, potrebbero essere quelli di nostro padre, nostra moglie, nostro marito, nostro figlio, il nostro migliore amico. Potremmo essere noi.
Il Papa ha definito la guerra un atto sacrilego. Ed è così. La guerra è un delitto contro qualcosa di sacro: la vita. È distruzione del Creato. Un abominio.

Ma fino a quando a tenere banco ci sarà quello che Papa Francesco definisce lo “schema di guerra” e non invece lo schema di pace, le cose non cambieranno.

Fino a quando si investirà di più nelle armi che distruggono piuttosto che nella costruzione di una nuova società, più equa e più solidale, la dinamica di guerra sarà sempre presente come il fuoco sotto la cenere. Pronta ad infiammarsi nuovamente con escalation incontrollabili. E a nulla servono i giochi di forza e gli arsenali contrapposti. Quelli semmai rendono ancora più instabile la “bomba”.

C’è una bella iniziativa, tra le tante che parlano di pace in queste settimane, ed arriva dal Gruppo Abele di Torino che propone il “silenzio contro la guerra”. Per qualche giorno osserverà un silenzio simbolico dei propri canali di comunicazione. Contro le sterili guerre di parole.

Ovviamente si tratta di un silenzio che parla, un silenzio attivo per fare spazio alla consapevolezza e alla riflessione. E in effetti, in queste settimane di guerra abbiamo assistito ad una guerra parallela fatta di parole. E anche alcuni media non ne sono stati esenti, trasformando l’attacco della Russia in Ucraina in argomento da salotto sul quale costruire ore e ore di dirette e di talk show come se si parlasse di sport o di spettacolo.

Anche per questo avremmo bisogno di un po’ di silenzio. Un silenzio che per chi crede può diventare preghiera.

Fonte: Walter Lamberti – Sir
Foto: Ansa/Sir

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