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La sorgente non si tocca, la birra è salva

I monaci hanno vinto

La Corte di Appello di Liegi ha dato ragione ai monaci dell’abbazia Notre-Dame de Saint-Remy, che producono lafamosa birra trappista Rochefort: la sorgente, con la quale viene fatta la birra, non deve essere toccata. E’ in corso da anni una la lunga battaglia legale tra i monaci e la compagnia mineraria Lhoist, che vorrebbe deviare il corso d’acqua per aumentare la capacità di estrazione della loro cava di calce.

L’abbazia si oppone, facendo valere un atto del 1833 che le concede una servitù sulla fonte: i monaci temono che i lavori influiscano sul sapore e sulla qualità dell’acqua e di conseguenza sul gusto particolare della preziosa birra.

Per ora la birra Rochefort è salva e non possiamo che gioire per la sentenza dei giudici. C’è un patto da rispettare e una qualità da tutelare. Ricordiamo che anche per la birra, come per tanti altri prodotti come il vino e il formaggio, siamo debitori ai monaci.

La tecnica basata su una grande attenzione nella produzione e sul rispetto delle materie prime è stata tramandata nei secoli e ancora oggi c’è una bella differenza tra le birre d’abbazia e quelle di produzione industriale. Le birre trappiste in particolare sono un’eccellenza, tutelate dal logo ‘Authentic Trappist Product’, del quale possono fregiarsi solo le abbazie che producono direttamente la birra con il lavoro dei religiosi e il cui ricavato è destinato esclusivamente per il loro sostentamento, per aiutare i bisognosi, accogliere i pellegrini, realizzare tutte quelle opere di carità che hanno permesso al mondo monastico di essere un punto di riferimento importante nella società.

Cinque birre trappiste sono belghe e sono probabilmente le più note: la Rochefort, l’Orval, la Westmalle, la Chimay e la Westvleteren, eletta più volte birra migliore del mondo. C’è poi quella austriaca, prodotta dall’abbazia di Engelszell, che significa “cella degli angeli”; monastero eroico, colpito dalle soppressioni degli ordini religiosi alla fine del XVIII secolo e poi dalla confisca da parte del nazismo, che ha deportato i monaci in campo di concentramento. Ha sempre saputo coraggiosamente rinascere e ha anche ripreso a produrre la birra, secondo l’antica ricetta.

L’abbazia olandese Maria-Toevlucht, “rifugio di Maria”, posta al confine con il Belgio, produce la Zundert e anche l’abbazia Mount Saint Bernard, che si trova in Inghilterra nel cuore del Leicestershire, di recente ha deciso di aprire un proprio birrificio, seguendo i preziosi consigli degli altri monasteri trappisti.

La Tynt Meadow, dal nome della collina dove sorge il monastero inglese, è una birra rossa, forte e ben strutturata, da meditazione ma molto adatta per accompagnare piatti di carne, in particolare la selvaggina.  Anche oltreoceano troviamo un’abbazia, la Saint-Joseph nel Massachusetts, che produce con successo la Spencer Ale.

E l’Italia? Tranquilli, anche noi abbiamo la nostra birra trappista, quella dell’abbazia delle Tre Fontane a Roma. Erano già noti i suoi liquori prodotti dal 1873 con metodi artigianali, ma da poco tempo produce anche una birra color oro intenso, dal sapore forte e con la caratteristica unica dell’aroma di eucaliptus, estratto dalle piante coltivate all’interno dell’abbazia stessa.

Il mio consiglio? Bevete birre trappiste: aiuterete i monaci e non avrete dubbi sulla qualità del prodotto. Come dimostra la battaglia legale del birrificio Rochefort, quelle abbazie hanno particolarmente a cuore il rispetto delle materie prime con le quali fanno la preziosa bevanda, selezionando i cereali, il luppolo e i lieviti con cura e fedeltà alle ricette antiche. Persino l’acqua pura e limpida delle loro fonti è elemento imprescindibile della peculiarità del prodotto.

Fonte: Susanna Manzin – Pane e focolare

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