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La nostra quaresima nei rifugi sotterranei delle chiese

monsignor Vitaliy Krivitskiy

Nella drammaticità di questo tempo, l’Ucraina ha riunito il mondo nella preghiera e nelle opere di carità“, dice monsignor Vitaliy Krivitskiy, che guida la diocesi romano-cattolica di Kiev-Zhytomyr. “Sentiamo la vicinanza di papa Francesco. E ringrazio l’Italia per il grande sostegno che ci sta dando

«Purtroppo il tempo ci hanno fatto aprire gli occhi sulla verità. In Chiesa siamo abituati a credere a ciò che la gente dice. E quando ci dicevano che la Russia era l’ultimo Paese che avrebbe potuto fare la guerra contro l’Ucraina noi ci credevamo. Il presidente russo Putin e il ministro degli Esteri Lavrov ripetevano: “Noi vogliamo bene all’Ucraina e non lanceremmo mai un intervento militare”. Ma abbiamo visto che era tutta una bugia». Anche per monsignor Vitaliy Krivitskiy, 49enne vescovo della diocesi romano-cattolica di Kiev-Zhytomyr, l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca è stata un evento totalmente inaspettato. Solo pochi giorni prima dello scoppio della guerra, il vescovo giudicava molto lontana la possibilità concreta di un conflitto, per il quale non vedeva alcuna giustificazione. «Ora ci ritroviamo con una guerra aperta in tutto il Paese, fondata su delle falsità»

Monsignor Krivitskiy, quali sono le falsità?

«Prima di tutto, affermare che l’Ucraina ha bisogno di un intervento esterno – cioè russo – per risolvere i suoi problemi interni. Secondo, dire che la popolazione ucraina di lingua russa ha bisogno di un sostegno ulteriore per la sua difesa. Io personalmente provengo da una città russofona, Odessa, sul Mar Nero, e tutti i miei familiari parlano con me in russo. Ma adesso vivono tutti nel terrore della guerra. Mi domando: cosa si risolve imboccando una strada del genere? Anche per quanto riguarda i nazionalismi: penso che in ogni Stato si possono trovare gruppi di estrema destra. Quando qui da noi si parla di nazionalismo, si tratta in realtà di patriottismo, che è una cosa molto vicina ma ben distinta».

Odessa ospita 133 nazionalità diverse, è aperta e multiculturale. Cosa può raccontare di questa città, che al momento è minacciata dall’avanzata russa nel Sud del Paese?

«Odessa è cambiata profondamente dall’inizio della guerra del Donbass nel 2014. Prima di quel conflitto sicuramente c’erano molti più abitanti filorussi, che appoggiavano l’annessione alla Federazione russa. Ma la guerra nell’Est ha fatto capire chiaramente alla gente che Odessa deve restare ucraina. E infatti da quel momento gli abitanti hanno cominciato a usare molto di più la lingua ucraina, anche nel parlare quotidiano e familiare. In quel periodo, con l’inizio della guerra, sono nati gruppi, comunità di persone che sono russofoni ma con un profondo patriottismo ucraino. Ad esempio, il presidente Zelensky appartiene a una di queste comunità. E oggi, con l’attuale conflitto, tantissimi abitanti, pur restando russofoni nella vita quotidiana, si sentono ancora più saldamente ucraini, molti in queste settimane hanno chiarito la loro identità e hanno rafforzato il loro sentimento nazionale e il loro senso di appartenenza allo Stato ucraino».

Lei come sta vivendo questi giorni nella capitale? E i fedeli cattolici come stanno reagendo alla tragedia della guerra?

«Noi cattolici viviamo questo tempo insieme, integralmente, a tutto il popolo ucraino e cerchiamo con tutte le nostre forze di far fronte al dramma della guerra. Come Chiesa siamo entrati nel tempo che prepara alla Resurrezione del Signore, la Quaresima, un periodo in cui tutti siamo chiamati a una riflessione più profonda sulla vita spirituale. Purtroppo questi tempi ci costringono a impegnarci in cose diverse. A confronto con gli anni passati, quest’anno non abbiamo bisogno di invitare ripetutamente i fedeli alla preghiera. L’Ucraina già prega per sé, per la pace e con l’Ucraina prega tutto il mondo. Nelle regioni devastate, terribilmente colpite dagli eventi bellici, la gente non ha possibilità di partecipare personalmente alle funzioni liturgiche nelle chiese. Ma nelle regioni non ancora toccate dalla guerra, i sacerdoti notano che adesso nelle chiese ci sono molti più fedeli. Oggi non dobbiamo invitare le persone a compiere il digiuno perché per la gente non avere cibo a sufficienza è diventato la normalità: in alcuni paesi intorno a Kiev non si trova più da mangiare da dieci giorni. Quest’anno, rispetto al passato, la gente è molto più aperta alle opere di carità e alla beneficenza. Oggi molte persone, coscientemente, rinunciano a qualcosa per sé per aiutare chi ha più bisogno. In questi giorni l’Ucraina è riuscita a riunire intorno a sé tutto il mondo nella preghiera e nelle opere di carità. Adesso molte persone vengono a prestare servizio di volontariato, per distribuire cibo e aiuti umanitari nelle località in cui c’è più bisogno. Vediamo come il resto del mondo si è unito per portare aiuti all’Ucraina. Vediamo come si aprono le porte delle case per ricevere i profughi. Questo tempo, nonostante tutta la sua drammaticità e sofferenza, è anche un tempo benedetto».

Papa Francesco sta portando avanti una grande azione diplomatica. Ha chiamato il ministro degli Esteri di Mosca Lavrov. Ha inviato l’elemosiniere pontificio, il cardinale Krajewsky, a Leopoli. Nella storia abbiamo visto come l’azione diplomatica del Vaticano abbia aiutato la risoluzione di alcune crisi. Cosa pensa di questo impegno del Pontefice per l’Ucraina?

«Quando a primavera gettiamo il seme nella terra non sappiamo se in autunno porterà frutto. Ma noi comunque lo gettiamo. È molto difficile fermare la guerra in un giorno, a maggior ragione se qualcuno si preparava a innescare questa guerra da molto tempo… Ma come dice il libro dell’Ecclesiaste: c’è un tempo di gettare via le pietre e un tempo per raccogliere le pietre, così noi oggi abbiamo il compito di gettare il seme. Se porterà il frutto – e io personalmente ci credo tanto – lo sa solo Dio. Siamo profondamente grati a papa Francesco per tutti i gesti e le azioni che sta compiendo in favore dell’Ucraina. E abbiamo accolto come una forma di solidarietà il suo gesto al di fuori di ogni protocollo di andare dall’ambasciatore russo in Vaticano ed esprimere il suo dissenso nei confronti della guerra. È molto importante perché la guerra è un tempo in cui tutti noi usciamo dai protocolli stabiliti. Ieri ho avuto modo di parlare col cardinale Krajewsky: ha detto che la sua visita qui è un modo per il Pontefice per dimostrarci la sua vicinanza. E per noi è molto importante. Abbiamo parlato anche della necessità di organizzare dei corridoi umanitari intorno a Kiev. E Krajewsky ha detto che se può servire la sua presenza fisica, lui è disposto a mettersi in macchina alla testa del corridoio umanitario. Durante la guerra si vede chi sta da quale parte. E per noi è rincuorante vedere che la Chiesa e tutto il mondo civilizzato stanno dalla parte dell’Ucraina. Ci aiuta a sopravvivere e a restare umani. Oggi non dobbiamo preoccuparci di cosa eliminare dai nostri pasti durante la Quaresima, però nel nostro cuore combattiamo contro una rabbia incontrollata. E allora ogni espressione di solidarietà ci aiuta a combattere queste tentazioni».

La Cattedrale romano-cattolica di Sant’Alessandro, dove ha sede la curia vescovile, è aperta per le funzioni e la preghiera?

«Sì, resta aperta per tutto il giorno. Se i fedeli non possono venire per le funzioni possono venire in altri momenti per accedere ai sacramenti della Confessione e della Comunione. Nella chiesa per tutto il giorno i sacerdoti sono presenti a turno e sono a disposizione per l’accompagnamento spirituale ma anche per l’aiuto materiale. Anche in cattedrale facciamo distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità. La Chiesa di San Nicola, che lo Stato non ha ancora restituito alla comunità cattolica ed è adibita a sala da concerto, in questi giorni è sempre aperta: secondo gli accordi, noi non abbiamo ancora diritto di celebrare le funzioni nello spazio principale della chiesa, ma abbiamo avuto il permesso di organizzare lì un centro umanitario per la raccolta dei beni. E lo stesso avviene nelle altre chiese della città. Ad esempio in alcune chiese è impossibile celebrare le messe e allora in questi casi le funzioni liturgiche si svolgono nei sotterranei delle chiese, in mezzo ai materassi sui quali dormono le persone che lì trovano rifugio. Oggi è il tempo di seminare e anche io sono chiamato a farlo. Pensando all’Italia, la diocesi di Macerata, dove opera un sacerdote della nostra diocesi, ha deciso di organizzare una raccolta di fondi direttamente per la diocesi di Kiev. Ci tengo a ringraziare dal profondo del cuore tutto il popolo italiano e la Chiesa italiana per il grande sostegno, con la preghiera e con gli aiuti, che ci state dando».

Fonte: Giulia Cerqueti – Famiglia Cristiana

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