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Il presepe di un tempo, il nostro. Che dura tutto l’anno.

Le curve sinuose che portano ai Maronti dischiudono, a seconda che si salga o si scenda, scorci di paesaggio che nella penombra della sera, col silenzio che di inverno si fa più fitto, prestano i loro fianchi alla fantasia che ne ridisegna i contorni e il contesto; immaginare scenari diversi, per la riproduzione, per uno come Pasquale, animo sensibile ed appassionato della sua isola, il passo è breve e dura tutto l’anno.

Dura il breve frammento di un’estate se vai sull’Epomeo e ti spingi fino all’eremo: il silenzio, la pace e la quiete pare si diffonda su tutto il paesaggio che va a costruire;  dura uno sprazzo di autunno quando nell’aria si sente ancora il profumo del mosto e le botti di legno ne testimoniano il passaggio; dura quanto una sagra di paese, se vedi i bastoni danzare tra loro più che battersi; dura tutto l’anno quando qualunque scorcio egli guardi e da ovunque lo osservi non è più visualizzazione ma diventa contemplazione.

Pasquale pensa e si ingegna su come metterlo in scena. In quei pochi giorni che circondano il Natale, in quelle visite di turisti e non, lui ci mette il pensiero, l’immaginazione e la progettualità di un anno intero e un anno ancora sul come migliorare certi particolari, un altro anno per reperire il materiale ancor più adatto alla riproduzione. Perché sia sempre più ricco, più bello, più generoso di dettagli ischitani.

Nel suo presepe ischitano lui mette in scena sua maestà il Castello, la cattedrale, l’orologio con le lancette, il ruscello che rievoca la sorgente ischitana, il torrione, i pizzi bianchi e i tre pini; le casette variopinte di Ischia ponte e il fornaio, il maiale sfasciato di inverno e la ‘ndrezzata di Buonopane; sul tavolo allestito apposta, nel piano terra del Seminario, trovi, messi insieme, tanti piccoli dettagli che tutti insieme compongono il paesaggio ischitano con i colori, i contorni, le sfumature e le particolarità tipiche di ciascun borgo, di ciascuna frazione, di tradizioni.

L’asciugamano di lino, fresco di bucato, stirato e piegato da mani antiche, steso dal balcone di un’antica casetta di Ischia Ponte, che reca le iniziali del vescovo, celebra il nuovo pastore con la tradizione del passato; frate “centopezze” proteso verso il bambino Gesù dopo l’arrampicata, esalta il santo patrono dell’isola e merita un posto di tutto rispetto nel presepe ischitano: in prossimità del pergolato, allestito per la nascita, in pochi si accorgeranno che ha un occhio diverso dall’altro, come la leggenda narra.

Nel presepe ischitano non c’è spazio per attori, calciatori, stelle del cinema e variopinte figure che poco hanno a che fare con la semplicità e l’umiltà del Natale, con le genuinità e la preziosità delle tradizioni isolane. Qui c’è l’isola con i suoi cantori, che tramandano storie, che propongono scorci di vita, passata e attuale, in un’unica, variegata soluzione, e Pasquale, oggi, malgrado i limiti logistici e quelli relativi al tempo che passa implacabile sul corpo ma non sullo spirito, sa ben amalgamarli tra loro esaltandone ciascuna particolarità. Non è ancora Natale e già pensa a come ingegnarsi per il prossimo anno: le vasche di Cavascura non possono mancare.

Quel che non manca mai, invece, quest’anno, è la stella cometa, che sembra non esserci ma silente e perpetua, compie il giro e torna a splendere, ciclicamente, con i tre puntini che sembrano stelle cadenti o seguenti, ma che a Pasquale piace pensare siano la testimonianza della Trinità.

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