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La gratuità dell’azione evangelica

La liturgia della XV domenica dell’Anno B ci fa riflettere sulla gratuità dell’azione evangelica. Am 7, 12-15 ci presenta un contrasto di perenne attualità. Da un lato abbiamo un “professionista del sacro”, il sacerdote Amasia, uno per il quale le cose di Dio sono materia di lavoro e di guadagno; dall’altro lato abbiamo Amos, il profeta.

Ci sono sempre stati “professionisti” come Amasia; Gesù li chiama “mercenari” (Gv 10, 12-13); ve ne sono tra i preti e anche tra i vescovi, ve ne sono tra i diaconi e tra i laici, tra gli assistenti pastorali e gli insegnanti di religione, persino tra i catechisti e i “volontari” stipendiati… Ed io tremo al pensiero che tra tutta questa gente potrei figurare anch’io.

Il criterio per distinguerli dai profeti non è la presenza o l’assenza di una retribuzione: “Il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo” (1 Cor 9, 14).

Il criterio per distinguerli è la motivazione. Lo fai allo scopo di “mangiare il tuo pane” (questa, secondo Amasia, è l’unica motivazione possibile, tanto che non vede altro modo per interpretare le intenzioni di Amos)? Oppure lo fai perché il Signore ti ha preso, ha sconvolto la tua vita, e ti ha affidato un incarico profetico (come Amos risponde)?

Se lo scopo è quello di guadagnarti il pane, cercherai di non urtare la suscettibilità dei potenti, tacerai le verità scomode, non farai mai discorsi “fuori moda”, ti accoderai al mainstream… Ma così sarai come il sale che ha perso il sapore, la tua non sarà certo profezia, bensì mercato; la tua attività non potrà essere definita “pastorale”: sarà mercimonio.

Forse è anche per questo che Gesù in Mc 6, 7-13 impone ai suoi apostoli una povertà radicale. Certo, se stiamo alla lettera del testo, sembra che la prescrizione di non portare alcun equipaggiamento per il viaggio sia dettata dall’esigenza di affidarsi totalmente alla provvidenza di Dio. Questa è senz’altro la ragione centrale, Tuttavia nel testo parallelo di Mt 10, 8, leggiamo la seguente motivazione: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Gratuità!

Se con te porti il pane, ti preoccuperai di avere di che comprarne quando sarà finito; quando porti la sacca, cercherai di tenerla piena; se porti denaro nella cintura, ti darai da fare per averne ancora per i giorni seguenti… Sarà quindi molto facile perdere la gratuità della motivazione.

E non sperimentiamo forse – oggi come ieri – che proprio laddove i ministri del Vangelo sono trattati economicamente meglio, proprio laddove la Chiesa è più ricca, la vita ecclesiale è maggiormente in crisi (in termini di pratica religiosa, di vocazioni, di prassi morale…)?

Il mondo cerca di assimilarci a sé; così in certi paesi i ministri della Chiesa sono semplicemente degli impiegati statali, funzionari del sacro stipendiati dal governo; in altri la Chiesa è considerata come una “impresa” privata, che fa profitti mediante le proprie attività cultuali o educative o ricreative; in altri ancora si presenta come un’organizzazione che offre servizi di carattere religioso in cambio di un’iscrizione onerosa, di una tassa annuale o di un pagamento cash. Va bene tutto ciò? Se “andar bene” significa che i conti tornano, forse si può anche sostenere che (per il momento) va bene. Ma se “andar bene” significa fedeltà al mandato di Cristo, fecondità apostolica e testimonianza evangelica… ho qualche dubbio sul fatto che vada bene.

Certo, ribadiamolo pure, “l’operaio ha diritto alla sua ricompensa” (Lc 10, 7), ma questa è concepita dal Signore come “sostentamento” dell’attività apostolica e non come suo scopo. Intendo dire: il sostentamento economico è il mezzo e l’apostolato è il fine; mentre la tentazione ricorrente è di utilizzare “la religione come fonte di guadagno” (1 Tm 6, 5).

Nessuno deve mettere “la museruola al bue che trebbia” (cf. 1 Cor 9, 4-12; 1 Tm 5, 17-18), ma stiamo ben attenti a non perdere la gratuità che, con la gratitudine, è e resta il segno essenziale della grazia.

Fonte: Aldo Vendemiati – Altervista

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