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Discrezione e una grande capacità di sopportare

Seconda anestesia generale, 65 anni dopo l’intervento al polmone, per Papa Francesco. A parte i problemi dell’età e una dolorosa sciatalgia, non ha patologie particolari. Da questo inverno – ma in realtà già da un po’ di tempo – papa Francesco accusava un certo malessere provocato dall’infiammazione dei diverticoli.

Considerato allora il momento più opportuno in assenza di infiammazione in corso, sì è optato per un intervento programmato in un periodo di relativa calma dagli impegni. Così dopo l’Angelus di domenica, nel quale ha annunciato il suo prossimo viaggio in settembre a Budapest e in Slovacchia, senza squilli di trombe – come nel suo stile – e con i soli effetti personali è salito sull’utilitaria messa a sua disposizione e ha preso la via del Gemelli.

Per un intervento non molto complesso, seppure delicato per chiunque a causa dell’età, in merito a una patologia piuttosto comune. È questo il primo ricovero in ospedale di Jorge Mario Bergoglio da quando è salito al soglio di Pietro, otto anni fa, e il secondo intervento di rilievo in anestesia totale nella sua vita: parliamo dell’operazione al polmone destro subita sessantacinque anni fa a Buenos Aires, nel fiore della sua giovinezza, a 21 anni. «Un’insegnante venne a vedermi, mi prese per mano, mi diede un bacio e se ne stette zitta per un bel po’. Poi mi disse: Stai imitando Gesù. Non c’era bisogno che aggiungesse altro» Sulla salute del Papa in generale non c’è stato mai, infatti, molto da dire.

Fatte salve le sue problematiche croniche e gli acciacchi tipici portati dall’età, come la cataratta – risolta due anni fa senza mettere i manifesti e affrontata come un anziano qualsiasi –, per avere 84 anni la sua è certamente una tempra, una salute quasi di ferro.

Basta guardare alla resistenza mostrata nei tour de force dei suoi viaggi internazionali compiuti in questi anni di pontificato. Anche l’ultimo in Iraq – decisamente molto impegnativo per noi che lo abbiamo seguito sul campo – per il Papa è stato l’unico in cui, al suo ritorno, ha ammesso una lieve stanchezza.

Del primo intervento al polmone, che gli precluse il sogno di andare missionario in Giappone, negli anni in cui era cardinale ne sentii parlare lui stesso. Diceva che aveva sempre avuto la convinzione che ne sarebbe guarito, sottolineava che il recupero era stato completo e che non aveva mai sentito alcuna limitazione nelle sue attività.

Anche nei diversi viaggi internazionali, del resto, non ha mai dovuto ridurre o cancellare nessuna delle attività programmate, né ha provato affaticamento da dispnea: «Come mi hanno spiegato i medici – disse – il polmone destro si è espanso e ha coperto tutto l’emitorace omolaterale». Di quel particolare momento della sua vita parlava dimostrando grande capacità di sopportare le sofferenze. Raccontava che in una delle dolorose terapie per pulire la ferita dell’operazione una suora gli disse una cosa che lo confortò e lo aiutò a comprendere nella dimensione spirituale quello che stava passando: «Con il tuo dolore stai imitando Gesù».

Disse più volte che quelle parole dette al suo capezzale dalla religiosa lo aiutarono a prendere la decisione che segnò il suo futuro: entrare nella Compagnia di Gesù. Un problema invece ricorrente, per papa Francesco è la sciatalgia, per la quale segue un programma di fisioterapia. Il suo riacutizzarsi legato a problemi nel tratto finale della colonna vertebrale c’è stato anche di recente, nel periodo a cavallo tra la fine dello scorso anno e l’inizio del nuovo, costringendolo a dare forfait in alcune celebrazioni nella basilica di San Pietro, nelle quali è stato sostituito dal cardinale decano Giovanni Battista Re e dal segretario di Stato Pietro Parolin.

I dolori dovuti all’infiammazione del nervo sciatico lo hanno messo diverse volte in difficoltà, in alcuni periodi in modo anche forte. Ricordo che nell’ottobre del 2007, dovendo venire in Vaticano per il Concistoro, non poté parteciparvi a motivo dei forti dolori che lo avevano aggredito durante il viaggio – in classe economica – da Buenos Aires a Roma. Venne accompagnato dalla mia famiglia per le cure del caso, e dimostrò anche allora un grande equilibrio e una forte sopportazione del dolore.

Nelle malattie degli altri sa farsi prossimo con la stessa delicatezza che aveva visto mostrata dalla suora durante la sua. Uno stile che non potrebbe essere simile senza una forte visione spirituale. Sa intervenire al momento giusto senza neppure che gli venga chiesto.

Per una seria situazione clinica che mi preoccupava avevo espresso tutta la mia paura per le possibili ricadute e l’angoscia per il futuro. Mi disse: «Non si deve avere paura del futuro. Il tempo è di Dio. Il futuribile è del diavolo».

Fonte: Stefania Falasca – Avvenire

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