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Le sette piante della Terra d’Israele: il Miele

Terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi di olio e di miele. (Dt 8,8)

La Terra promessa è la terra di latte e miele, terra che dona al popolo ciò di cui ha bisogno, terra che nutre, protegge e custodisce. Nella Bibbia il cibo ha un valore simbolico, rappresenta il bisogno dell’uomo di nutrimento, non solo fisiologico ma anche spirituale. Nutrirsi ha un valore di sacralità, preparare il cibo è un rituale e la tavola è il luogo delle relazioni e dei ricordi: a tavola non ci si siede, la tavola la si abita!

Eccoci arrivati a parlare dell’ultima pianta di Israele: il miele, non quello prodotto dalle api, ma il succo estratto dai frutti delle palme, i datteri!
Come abbiamo visto nei precedenti articoli, le più importanti feste liturgiche ebraiche sono legate al mondo agricolo: come l’orzo simboleggia l’inizio del raccolto (Pesach) e il frumento la raccolta del grano (Shauvot), similmente la palma, essendo una delle quattro specie del lulav (il fascio di arbusti utilizzato durante il Sukkot) rappresenta la fine del ciclo agricolo (Sukkot).

La festa delle capanne (festa di Sukkot) dura sette giorni e viene celebrata alla fine della vendemmia, per ringraziare Dio dei suoi preziosi doni.

C’è un detto nel Talmud che dice “il segno è una cosa” e infatti nella liturgia ebraica ci sono oggetti e rituali che, attraverso il loro significato figurativo, fanno rivivere al popolo un’esperienza antica e lontana, trasmettono un insegnamento, orientano l’intera vita. Questa festa è ricca di segni e due in particolare richiedono una lettura più approfondita.

Il primo simbolo è la sukka o capanna: ogni ebreo, nei sette giorni della festa, per fare memoria del tempo trascorso sotto le tende dopo la liberazione dall’Egitto, svolge le attività principali in una capanna, costruita sul tetto o in un luogo adiacente all’abitazione. Il senso di questa costruzione precaria è rammentare che negli stenti e nelle fatiche vi è sempre “Qualcuno” che veglia, protegge e assicura il necessario.

Il secondo simbolo è il lulav, un fascio di arbusti composto da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto, uno di cedro, che vengono legati insieme ed agitati durante le preghiere. Nella tradizione ebraica le quattro specie oltre a rappresentare la fertilità e il raccolto sono segno della diversità che, se tenuta insieme, è fonte di grande ricchezza.

Nei midrashim, vengono narrate delle storie che rimandano a questo significato: la palma (lulav) che non profuma ma produce dolci frutti, simboleggia l’uomo che conosce la Torah ma che non compie atti di generosità; il mirto (hadas), profumato ma privo di sapore, rappresenta le persone generose ma che non studiano la Torah; il salice (arava), senza profumo e senza sapore, raffigura le persone che non sono né sapienti né generose; il cedro (etrog), infine, profumato e con un sapore delizioso, descrive le persone che studiano la Torah e che, nella vita, mettono in pratica i precetti (Midrash Vayikra Rabbah 30,12).
Un altro racconto afferma invece che la palma, essendo dritta, rappresenta l’integrità; il cedro, avendo sapore e profumo, la coerenza tra ciò che siamo nel cuore e ciò che mostriamo all’esterno; il mirto, con lo stelo ricoperto di fitto fogliame, la modestia e la riservatezza (la tzniut); il salice, con la sua fragilità, la cura e la dedizione.

Sebbene siano molti i significati attribuiti a questi arbusti, la narrazione che è alla base di essi parte dal medesimo presupposto: l’oggetto diviene significativo grazie a quattro diversità, legate insieme.

La palma da dattero, in ebraico Tamar, ha una storia che si perde nel tempo, sembra infatti che, essendo possibile ricavare da essa tutto il necessario per la sopravvivenza, sia stata uno dei primi alberi coltivati dall’uomo: il frutto e il miele nutrono e curano; le sue foglie e il suo tronco permettono di costruire abitazioni, corde e ceste; le foglie secche bruciate scaldano le notti invernali; i semi, macinati con il mortaio, possono essere mischiati alla farina quando questa scarseggia; la sua linfa fermentata è fondamentale per produrre l’arrak, un liquore dolce ed aromatico; la sua generosa ombra protegge gli orti dall’infuocato sole del deserto.

In Terrasanta, soprattutto nella zona di Gerico, la palma è talmente diffusa che lo stesso Dante, nella Vita Nova, scrisse che i pellegrini, partiti per Gerusalemme, venivano chiamati “palmieri”, proprio in virtù della palma che portavano al loro ritorno.

Perdersi tra le bancarelle di Gerico è un’esperienza da fare almeno una volta nella vita, datteri di ogni forma e sapore creano piramidi di gusto che invitano all’assaggio.
Il miele di datteri (Silan) non è semplice da trovare, tuttavia, essendo ottimo spalmato sui pancake o utilizzato al posto dello zucchero nei dolci, se vi capiterà di andare in Israele vi consiglio assolutamente di acquistarne un vasetto!

Fonte: Francesca Arnstein – FrateSole

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