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Le lobby: cosa sono e cosa potrebbero essere

Se la miseria dei poveri non è causata dalle leggi della natura, ma dalle nostre istituzioni, grande è il nostro peccato. (Charles Darwin)

Difficile commentare questa citazione, ma non impossibile. Rileggendola più volte mi è subito venuto in mente quanto le nostre istituzioni siano condizionate, nello svolgimento del loro lavoro e, soprattutto, nel processo decisionale, dai lobbisti.

Le lobby (o gruppi di pressione) stanno approfittando del vuoto di potere apertosi nelle democrazie occidentali con la crisi dei partiti politici, sia in termini elettorali che cultural­i-ideologici, facendo i propri interessi e perseguendo i propri obiettivi che non sempre sono a beneficio di tutta la collettività.

Anzi, spesso sono a scapito dei più deboli. Ma bisogna ritenere giusto il principio, sostenuto soprattutto dai media italiani, secondo cui termini come “lobby”, “lobbismo” o “lobbista” altro non sono che sinonimi di attività criminali? Infatti spesso siamo dell’opinione che chi esercita questo lavoro sia una persona ambigua, un faccendiere, un individuo che briga e lavora a servizio e per conto di grandi gruppi di potere che condizionano pesantemente le scelte politiche.

Mi riferisco alle multinazionali, alle case farmaceutiche, alle banche, per esempio e anche purtroppo a coloro che gestiscono interessi controversi come le armi o il gioco d’azzardo. Per una strana associazione di idee mi fanno pensare ai clientes dell’antica Roma: uomini formalmente liberi, ma legati da particolari vincoli giuridici, morali ed economici, in un rapporto di subordinazione, a un’altra persona, collocata socialmente più in alto, il patrono.

Dove quest’ultimo nella società attuale sarebbe l’attore politico, il funzionario o il ministro e il cliente il gruppo rappresentato dal lobbista. E guardate un po’ tra gli obblighi del cliente quali c’erano: doveva dare il voto al patrono nelle elezioni; liberarlo da una prigionia di guerra pagando il riscatto.

Riconosco che il paragone è un po’ azzardato, ma tornando ad oggi, cercherò di fare un po’ di chiarezza. In realtà quello del lobbista è un lavoro come un altro, neutro, e non è necessariamente negativo: consiste nel presentare una richiesta, lasciando al legislatore la libera decisione democratica.

Il guaio è che nei palazzi del potere non tutti riescono a farsi ascoltare allo stesso modo. Alcuni gruppi sono fortissimi, (forse dipende dal giro d’affari che innescano), altri, pur rappresentando gli interessi di milioni di cittadini, restano inascoltati o quasi: ad esempio associazioni che premono per la tutela della salute, dell’ambiente o dei diritti civili, o dei lavoratori (i sindacati).

Ovviamente prevale chi riesce ad ottenere più incontri con l’interlocutore politico ed ha più opportunità di spiegare e convincere perché una legge può essere positiva o negativa per gli interessi della parte rappresentata. E nel corso dell’anno ottiene molte più opportunità di incontro una multinazionale piuttosto che un sindacato, per esempio.

L’attività di lobbying è dunque connaturata al funzionamento delle istituzioni, ma spesso accade che, nell’anticamera della politica, vengono stabilite regole ai limiti della legalità. Proprio per questo in alcuni paesi europei questa attività è regolata da precise norme, cosa che purtroppo manca in Italia. Il potere di alcune lobby sulle decisioni pubbliche è talmente invadente che per contrastarlo sono nate alcune associazioni come The good Lobby in Italia e Corporate Europe Observatory in Europa che vigilano sulla trasparenza dei rapporti tra istituzioni e portatori di interessi.

Si vigila perché gli interessi delle aziende non determinino svantaggio per lavoratori e consumatori: pensate che a Bruxelles, si decidono leggi per più di 500 milioni di cittadini. Il rovescio della medaglia è che il lobbying potrebbe essere uno strumento di partecipazione e democrazia a disposizione di tutti. E in molti casi già lo è grazie alle numerose associazioni che, con un lavoro certosino e tenace, hanno raggiunto risultati incoraggianti con norme e modifiche relative all’agricoltura, agli OGM, al tema delle plastiche.

Ma occorre una riforma seria in Italia per rendere il sistema più trasparente possibile, esattamente come succede in Europa, e dare lo stesso spazio a tutte le voci che si esprimono su un determinato argomento.

Non sarebbe difficile affidandosi a poche parole chiave: chiarezza, accessibilità ai dati e trasparenza. Il che significa che quando un lobbista incontra un ministro i cittadini devono sapere di che cosa hanno parlato e che cosa hanno stabilito, perché non devono avere nulla da nascondere.

Pensate che non sia mai stata avviata una riforma del genere? È stata proposta e iniziata 80 volte in circa quarant’anni, ma non è stata mai portata a termine. Perché? Evidentemente hanno prevalso gli interessi dei potenti. Noi però non ci daremo per vinti, continueremo a credere e a proporla questa benedetta riforma; come? Firmando la petizione “The good Lobby” proposta da una serie di associazioni quali Altroconsumo, Slow food Italia, Cittadinanza attiva e altre che difendono i diritti dei cittadini normali.

Lo ritengo un dovere morale per non renderci complici delle istituzioni che sono deboli coi forti e forti coi deboli lasciando ai margini chi è fragile, chi non ha voce e non sa farsi valere.

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